Peter Pan: un bambino di 93 anni.
Incontro sul tema:
 "Peter Pan all'università".

 Dott. Riccardo Fantechi: La giornata di oggi, è una giornata molto intensa e interessante. Questo incontro sul tema " La sindrome di Peter Pan ", è stato organizzato da "Progetto Cucciolo", nato in collaborazione con i ragazzi dell'Università di Psicologia di Firenze, che si inserisce nel mondo del "no profit", e si occupa, ma non solo, di bambini dai 5 ai 12 anni. Scopo principale di Progetto Cucciolo, è inserirsi, attraverso progetti educativi, socioculturali, e psicologici, nel mondo tendenzialmente difficile dei bambini, dove spesso l'istituzione non ha possibilità comunicative; "Progetto Cucciolo" si posiziona, dunque, come una struttura intermedia, libera dalle istituzioni, che normalmente bloccano le possibilità d'intervento.
Si pensi ad un bambino con problemi relazionali all'interno della classe, l'istituzione può proporre un'esperienza di psicoterapia, ma questa, spesso, risulta inadeguata, e crea nel bambino conflitti e vergogna.
Una figura intermedia, può diventare una figura di riferimento per il bambino; "Progetto Cucciolo" propone la figura del "tutor", fratello maggiore, animatore, amico, che insegna al bambino a vivere un rapporto a due, a giocare e svolgere i compiti, senza intervenire pesantemente con interpretazioni psicologiche.
L'intervento del "tutor" può avvenire due o tre volte a settimana, gratuitamente per i bambini meno abbienti; nel suo intervento il "tutor" è supportato da corsi, che Progetto Cucciolo promuove ogni anno, dai gruppi di psicoterapia e dalla supervisione, una volta al mese, con uno psicologo aderente al Progetto.
Per quanto riguarda gli altri progetti, nei prossimi mesi prenderanno il via nuove iniziative: a marzo il dott. Nincheri terrà uno stage di arte terapia, ad aprile si terrà uno stage di clown, a maggio si terrà il nuovo corso per tutor, il corso di aggiornamento sull'adolescenza, per coloro che hanno già seguito il corso per tutor, e un corso di animazione in preparazione ai campi solari; inoltre sono già avviati i progetti "doppiaggio cucciolo" e "cucciolo network".
Tutti i progetti di "Progetto Cucciolo" sono svolti in collaborazione con "l'Arca di San Zanobi", associazione di volontariato di cui il Diacono di Casignano, Paolo Raspollini parlerà successivamente.
Per mettere insieme tutte le idee occorre avere l'ascolto dell'altro e cercare al tempo stesso delle connessioni, ciò significa che ognuno deve essere consapevole di vivere in un mondo di network, di rete, e consapevole che dentro di noi esiste una saggezza infinita, con la quale dovremmo provare a connetterci attraverso i canali più giusti. E' questo che "Progetto Cucciolo" prova a fare, insegnando al "tutor" a lavorare su se stesso e sul suo modo di comunicare, per meglio relazionarsi con gli altri.
Per quanto riguarda il tema del convegno, è stata scelta la figura di Peter Pan, eterno adolescente, per rappresentare i problemi e la realtà in cui il nostro Progetto cerca di inserirsi.
Nel preparare l'incontro, abbiamo chiesto la collaborazione di una quarta elementare della scuola di Bagno a Ripoli: è stato chiesto ai bambini di fare dei disegni su Peter Pan e di esprimere il loro giudizio sulla sua figura. E' emerso che i bambini non amano particolarmente Peter Pan perché la sua immagine non è vincente; i bambini hanno espresso la loro preferenza per Spugna, e Capitan Uncino, nei quali ci si può identificare. Questo ci ha fatto riflettere sul perché il mondo di Peter Pan è rifiutato dal bambino: è troppo magico, bizzarro, non connesso alla fantasia stessa del bambino.
Ho pensato che se Peter Pan avesse vissuto una buona accettazione del se, se il suo mondo interno, un po' bizzarro, fosse stato ascoltato da un contenitore gruppo, forse non sarebbe fuggito dalla realtà come oggi tanti adolescenti fanno.

Dott.ssa Enrichetta Giannetti: II mio contributo su Peter Pan ha un taglio un po' particolare rispetto ai contenuti che possono essere offerti da coloro che si occupano del personaggio di Peter Pan, rimanendo legati al simbolo che questo rappresenta.
Se prendiamo Peter Pan come un simbolo, o, una metafora, di un modo di essere, è evidente che un contributo psicodinamico, collegato alla psicologia del profondo e della personalità, può essere più calzante rispetto al taglio di tipo sociologico che esporrò, e che, si attiene a qualcosa che già altri hanno enunciato nel 1993, nel terzo rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia.
Fra le varie cose che il rapporto illustra (percorsi formativi e giudizi sulla scuola, lavoro come scelta e opportunità, associazionismo , partecipazione, trasgressione e devianza), c'è un capitolo dedicato al prolungamento della fase giovanile, e orientamento al futuro, sul quale focalizzeremo la nostra attenzione, perché, nel nostro mondo Peter Pan, rappresenta l'eterno fanciullo, il ragazzo che non cresce mai.
Quest'affermazione è sostenuta da dati di tipo sociologico, presenti nel rapporto IARD; in particolare, nel saggio si parla della precocità, e del ritardo nel percorso verso l'età adulta. Una meta, che in passato poteva essere rappresentata da una serie abbastanza precisa di tappe, sembra oggi, da un lato anticipata, dall'altro raggiunta più tardi. Diremo quali sono queste tappe, e come si differenziano giovani di differenti fasce d'età e di differenti strati sociali, rispetto al raggiungimento di queste tappe.
Le cinque tappe sono:

1.Conclusione della parte più rilevante dell'iter formativo.
2.Posizione lavorativa relativamente stabile.
3.Abbandono della casa dei genitori.
4.Matrimonio.
5.Genitorialità.

Un aspetto fondamentale preso in esame è ad esempio il prolungamento del percorso di studio, sappiamo quanto oggi sia più lungo l'iter formativo, che spesso non finisce mai, non solo in ambito universitario, ma anche lavorativo; anche la permanenza nella famiglia dei genitori è un possibile indice d'indagine, vedremo in tabelle, che tantissimi giovani continuano fino ai 30 anni a vivere in famiglia, perché non vogliono assumersi le loro responsabilità, o, perché non trovano casa e lavoro. D'altro canto oggi, ci sono giovani che vivono da soli, o convivono col partner; questi sono una buona percentuale della popolazione dai 15 ai 29 anni, e forse fanno parte di una tipologia diversa rispetto a coloro che continuano a vivere in famiglia; dato certo è, che in generale si tende a sposarsi meno e avere dei figli più tardi.
Interessante poi, è il fenomeno che gli autori hanno chiamato di "moratoria prolungata", intendendo per moratoria, l'incertezza, il dubbio nei riguardi del proprio futuro. La domanda che si poneva ai soggetti era: "Che tipo di prospettiva hai per i prossimi cinque anni?". In base alle risposte date, gli autori hanno costruito un indice di moratoria, a partire dal quale hanno individuato una tipologia di orientamenti temporali, parlando così di soggetti autostrutturati, eterodeterminati, autodestrutturati, eterodestrutturati.
Gli autostrutturati sono quelli che non rinviano le decisioni verso l'età adulta, gli eterostrutturati non si tirano indietro nell'affrontare il passaggio verso l'età adulta, gli autodestrutturati rinviano le scelte, ma hanno fiducia nelle proprie capacità di costruire il loro percorso di vita; gli eterodestrutturati non credono che le loro scelte possano riuscire a cambiare il futuro. Gli autori osservano che non si tratterebbe di tipologie di personalità differenti, ma di tappe evolutive che ognuno percorre in relazione alla propria personalità.
Dai dati è emerso inoltre, che più elevato è lo status socioculturale ed economico della famiglia d'origine, maggiore è la lentezza nella crescita, e che si dimostra un po' meno Peter Pan chi più precocemente di altri, effettua qualche scelta, e si pone davanti a delle responsabilità.
Ad esempio l'ingresso nel mondo del lavoro, può consentire il matrimonio, il vivere da soli, la genitorialità.
Concludo con una domanda: "Chi di noi pensa di aver superato tutte e cinque le tappe e sappiamo prevedere quando si supereranno?".

Prof. Candreva: Ripensando alla storia di Peter Pan, mi viene in mente, alla luce di quanto riportato dalla Dott.ssa Giannetti, di paragonare il personaggio di Peter Pan ad un adolescente che si destruttura per autostrutturarsi.
Non possiamo paragonare Peter Pan ad un ragazzo che non ha concluso il suo ciclo di studi, che non è ancora giunto alla laurea, ma ad un ragazzo che agli studi ha preferito il gioco, il giocare. Non cercherò di dare un'interpretazione del mito di Peter Pan, analizzando il linguaggio sequenziale, l'effetto retorico e la corposità del mito si disperdono.
Se proviamo ad accostare alla storia di Peter Pan, altre storie sequenziali che vengono dalla psicopatologia, un tratto del mito, il giocare, il decidere di giocare, può essere paragonato ad una scarica motoria, ad un passaggio all'atto; la retorica del testo d'analisi è tuttavia differente da quella del testo del mito, il giocare nel testo di Peter Pan, non costituisce un problema. Altro aspetto da considerare, è che Peter Pan, nel mito, è un bambino abbandonato, come lo sono Wendy e gli altri bambini, che pur non essendo orfani, possono essere considerati bambini e soli.
Il padre, infatti, non riesce a capire i loro giochi, e non crede nella figura di Peter Pan; in termini psicodinamici il rapporto tra padre e figli non è in sintonia, e questo perché il padre non gioca con i propri figli, e non comprende cosa voglia significare il giocare dei bambini.
I bambini, reagiscono a questa situazione fuggendo nell'isola che non c'è, nel mondo della loro fantasia, dove giocano alla guerra, una guerra che non avrà mai fine, con Capitano Uncino, i pirati, i pellirosse.
La scarica motoria, il gioco, è al limite, lo scopo è tenere in vita l'avversario per continuare a combattere contro di lui, un caso che viaggia tra il disturbo narcisistico di personalità e la patologia borderline.
Da parte del padre c'è la preoccupazione che questo figlio-Dio (il Dio Pan della natura), rifiuti la cultura per rifugiarsi nella natura, natura che lui stesso ha rinnegato per non infrangere più, ormai cresciuto, il confine fra la fantasia e la realtà.
Quell'uomo che un tempo ha volato, non crede più nell'immaginazione; solo la perdita dei figli gli fa rivivere le storie che da piccolo animavano i suoi giochi, e lo riavvicinano al mondo dei figli.

Prof. Marasco: Peter Pan, è un personaggio che è stato oggetto di molteplici interpretazioni. In principio la storia di Peter Pan non era ben definita; Barry compare la prima volta nel 1902 con la storia "Peter Pan nei giardini di Kensington", del 1904 è l'opera teatrale "Peter Pan, il bambino che non voleva crescere", del 1911 il romanzetto "Peter e Wendy". Abbiamo, dunque, tre testi, dei quali è molto difficile fare un'analisi narrativa, e avviare un'interpretazione, senza riprendere la storia dell'autore, e le analogie che questa presenta con le opere.
Barry nasce in Scozia, in una famiglia molto numerosa, era il nono figlio e il terzo maschio; si conosce poco della famiglia d'origine, solo dall'autobiografia lasciata dalla madre Margareth, si apprende che il padre di Barry era una figura assente e poco influente. Barry era un pessimo scolaro, abbandona l'Università di Edimburgo, la stessa Università che anni dopo gli conferisce la laurea ad honorem, e gli permette una brillante carriera da docente.
Fisicamente era un tipo mingherlino e di bassa statura, a tal punto da comprare il biglietto ridotto per il treno, ed essere confuso dalle donne con un adolescente; predominante e fastidiosa era per lui l'idea di essere considerato innocuo e tenero dalle donne, che desiderava come amanti. Il fratello maggiore, David, era considerato da Barry, un "golden boy", colui che, morto il nonno, aveva preso il posto di eroe nel cuore di sua madre.
Un giorno, un incidente sul lago ghiacciato, allontana David, allora tredicenne, per sempre dai suoi cari. Barry, da quel momento in poi, occuperà il posto del fratello identificandosi in lui (nei suoi scritti comparirà spesso la frase "David ha sempre 13 anni"). La nonna di Barry era una grande narratrice di favole e racconti fino a che lui, che le aveva ascoltate tutte intorno ai 20 anni decide di scriverle; e questa è l'origine di Barry scrittore. Tutti i suoi primi libri sono tutti raccolte di favole fino a che non si arriva al teatro, conosce una prima attrice, si innamora e la sposa. Il matrimonio va malissimo, ma invece un po' di soldi arrivano così si trasferisce a Londra.
Dal matrimonio non nasce nessun figlio quindi la moglie si reca volentieri ai giardini a vedere i bambini e lui da subito nell'occhio sempre con una pipa in bocca, con un grande cappello e poi aveva anche un gran sanbernardo, quindi la figura era comica: lui era piccolo questo grosso cappello e questo grosso sanbernardo; ma la cosa sembrava incuriosire molto i bambini. In questo giardino incontra in particolare due bambini che all'epoca hanno 4 e 5 anni: George e Jack Davis. Il primo lo colpisce tantissimo perché la prima volta che lo vede lo vede cascare e rialzarsi dal terreno lui descrive come "un piccolo dio greco". E rinasce un altro bambino d'oro questa volta nei suoi occhi. Poi conosce la madre, il padre e si innamora di questa famiglia. La donna , Silvia, viene descritta come la più bella mamma del mondo: nasce così uno strano innamoramento per George, per la madre che ama George e per il padre per come si amano. E si può quasi dire che lui sposa questa nuova famiglia tanto che quella precedente finisce in quanto sua moglie scappa con un altro uomo e lo pianta. La famiglia cresce : 2 bambini, poi 3 poi 4 poi 5. Quando poi scrive la prefazione al testo teatrale c'è scritto: ai 5; poi nell'introduzione dice, riferendosi a loro: "io vi ho strofinato l'uno con l'altro e ne è venuto fuori Peter Pan". Questa felicità però finisce presto perché il padre, verso i 40 anni si ammala e muore.
La famiglia è in una condizione economica precaria e inoltre due anni dopo la morte del padre, muore anche la madre Silvia. Tutta la vita di Barry sarà dedicata ai 5 bambini che porta tutti alla laurea. Crescendo l'interesse si sposta da George all'ultimo, che si chiama Michelle. Questo viene rinforzato dal fatto che siamo già nel 1911. il periodo della grande guerra e George ha proprio l'età giusta per andare soldato. Così il primo bambino d'oro parte per il fronte e non torna più, muore a 22 anni. Gli altri continuano invece tutti a studiare compreso l'ultimo che si suicida a 21 anni. Il grande legame resta ora con il penultimo Peter che da grande farà l'editore a cui è dovuta la raccolta postuma dell'autore ma che ha bruciato tutte le lettere di Barry e Michelle senza spiegarci il perché se non che lui dice che doveva farlo perché quelle lettere erano "troppo". Questa è la vita del padre di Peter Pan e credo che non sia indifferente per capire il personaggio. Parlare a questo punto di tutta l'opera è impossibile, allora riallacciandomi al Candreva vorrei parlarvi del gioco. I giardini del re sono stati scelti dall'autore non a caso perché nel 1904 il giardino del re era il giardino del re. Nella prima opera peter Pan compare solo nel 2-3° capitolo prima l'autore descrive i giardini e subito inizia a distinguere tra: Londra (le strade, il traffico, la confusione) e i giardini dove le persone camminano più lenta e dove si portano i bambini. Prima differenza.
Seconda differenza: i giardini non sono tutti uguali. C'è la grande passeggiata dove, come dice l'autore, girano i "damerini" che non si mescolano con il "popolino" e che si vestono e vestono i bambini in "pompa magna"; e c'è la piccola passeggiata dove ci sono "i bambini normali". Ma anche qui c'è una grossa suddivisione: ci sono gli adulti e i bambini. Gli adulti inoltre giudicano i bambini e li suddividono in "bambini buoni" e "bambini birbantelli o piagnucolosi". C'è poi una descrizione dettagliata di una bambina che ci permette di capire qualcosa di più. Questa è una brava bambina, "tanto brava -dice l'autore- che quando era a tavola e aveva un colpo di tosse, si voltava a sinistra; nei giardini era altrettanto brava perché l'unico gioco che faceva era gettare la palla in alto e aspettare che la governate la riportasse". Così con due immagini ci dice cos'è una bambina buona. Questa bambina un giorno stanca di essere buona e volendo comunicare che "lei è anche altro", fa la birbantella: si slaccia gli stivali, prende la sciarpa che ha al collo, la mette in una pozza e la pesticcia. Barry, molto attento alle abitudini sociali si è occupato anche degli adulti e di come giudicano. Ma il fatto si capisce prendendo in considerazione il fatto che a un certo punto i giardini si chiudono e ci sono così i giardini del giorno e il giardino di notte, dove i bambini non ci sono.
Nella notte il giardino si anima e diventa il giardino della regina Map e delle fate. E' evidente che le fate ci sono anche di giorno, ma di giorno sono mascherate da fiori, "i fiori che ci sono in quella stagione". Non si può capire Peter Pan se non si fa questa geografia. Il giardino, di notte, è quindi ugualmente vivo e non è che non si vede nulla ma ci sono anche allora i colori, ma i colori che vediamo di giorno sono quelli quando la luce batte sopra il colore mentre la notte vediamo il colore perché la luce batte dietro il colore. Comunque le fate sono colorate, fanno danze colorate e hanno casette colorate e vetri colorati. Lui dice inoltre che queste fate nascono quando nascono i bambini, anzi lui dice, quando i bambini fanno il primo sorriso, così il bambino fa il primo sorriso, il sorriso esplode in numero di fate, la madre se comunica con le fate comunica con il bambino. Le fate inoltre fanno tutto rovesciato tanto che nel loro mondo chi comanda è il più giovane, cioè l'ultima fata. Quindi quando il bambino vede nascere il fratellino, si agita, voi dite che è geloso invece lui si ricorda del mondo delle fate e sa che quest'ultimo comanderà in famiglia; così quando dite che le bambine fanno i capricci sbagliate, dovete dire che '"fanno le fate". Concludo parlandovi dei giochi. I giochi, nel giardino, sono una caratteristica dei babbi: i babbi portano dei velieri costosissimi e super attrezzati; il bambino invece sa giocare con un solo bastoncino e se poi ha anche un filo, lega il filo al bastoncino poi butta il bastoncino nell'acqua e tira il filo. Questo suo veliero però, è più grande di quello dei genitori, ha più vele di quello dei genitori ma, cosa che quello dei genitori non avrà mai, ha dentro anche la ciurma, il capitano e ha anche il vento. La cosa interessante è che quando Peter Pan si trova nell'isola chiede alle fate come giocano i bambini. Le fate però non sanno come giocano i bambini perché le fate fanno tutto per gioco, quindi per poter fare un gioco fantastico come quello dei bambini bisogna avere la differenza tra gioco e realtà. Ha posto così tre livelli di gioco tra loro incomunicabili. Ciò che rende Peter Pan un bambino non bambino, come dice l'autore un "mezzo e mezzo" è questo fatto di giocare come le fate: pensa di volare e ha 7 anni. Questi sono pochi riferimenti che comunque penso siano importanti per capire realmente la figura di Peter Pan.

Dott. Bruschi: Mi è piaciuto molto il discorso del Dott. Candreva sul recupero della dimensione ludica proprio perché la figura di Peter Pan può essere vista come una metafora della difficoltà di passare dall'età adolescenziale a quella adulta e parafrasando un noto autore di questo secolo si può dire che l'adolescenza è l'ultima grande onda che lancia il bambino nelle spiagge dell'età adulta in condizioni di relativa impotenza come se si trattasse di una seconda nascita. Quindi l'adolescenza può essere proprio considerata un momento di passaggio particolarmente difficile. Sempre relativamente all'adolescenza anche Lussana (?) ha fatto un interessante studio e ha detto che l'adolescente è l'esempio di un processo di svolgimento creativo che porta a livelli più alti di sensibilità umana. Anna Freud sottolineava inoltre la particolare mutevolezza della psiche dell'adolescente: "le posizioni evolutive che si presentano nell'adolescenza sono ben individuate nella patologia adulta e vengono esibite dall'adolescente o tutte insieme o collegate in successione". Mi viene in mente a questo proposito la difficoltà che spesso si trova con l'adolescente in psicoterapia e il bisogno di recuperare una dimensione adolescenziale. Ci possiamo in questo senso ricollegare anche al film "Hook" e a questo padre preso da interessi professionali e poco disponibile a passare il suo tempo con i figli, figli che ha un certo punto perde e ha bisogno, per recuperarli, di tornare prima di tutto adolescente anche lui. Meltzer ha parlato della latenza e di come questo concetto si sia modificato da quando Freud lo considerava un periodo di stallo; in realtà la latenza sembra un periodo di pace per la famiglia, poi a ben guardare si vede che all'interno della latenza c'è un periodo di pulsioni e di sessualità molto forte. Anche la masturbazione appare molto intensa, anche se si presenta in forme particolari (nelle bambine tipica è la danza). Fautore dice che "nei bambini è un percorrere il proprio corpo con le dita intessendo storie ed avventure senza essere un'affettiva masturbazione genitale". Meltzer inoltre suddivide l'adolescenza in gruppi. Il primo gruppo è caratterizzato da un interesse pornografico, questo da luogo alla genitalità gruppale che divide i maschi dalle femmine: "questo tipo di genitalità comporta lotte tra bande con atteggiamento  predatorio, ma questa esuberanza sessuale non è negativa, non è antigruppale o antifamiliare ma è caratterizzata da molta segretezza".
Il secondo gruppo è caratterizzato da una certa paranoia: "la loro masturbazione è genitale con fantasie violente e questo sollecita il gruppo a diventare predatorio nei riguardi del mondo degli adulti; il gruppo prende la forma della criminalità, della droga e della ribellione in genere". Un terzo gruppo viene individuato in giovani molto ossessivi: "la loro ossessività è rivolta verso le ingiustizie del mondo e si sentono particolarmente incapaci da un punto di vista sessuale tanto da richiedere l'aiuto di persone più grandi". La Mahler parla di questo periodo come di un processo di separazione-individuazione dall'infanzia: l'adolescenza è caratterizzato da un processo di crescita psicologica particolarmente difficile. L'adolescente in particolare deve elaborare un grave lutto che le permetta di separarsi dalla famiglia. Per comprendere il processo di individuazione si deve richiamare il concetto di personificazione. La personificazione la funzione strutturante della vita psichica, è lo studio necessario a comprendere il costituirsi dell'Io e del Sé. Il mondo psicoanalitico degli anni '80, che si è molto occupato dell'adolescenza, suddivide questo periodo in 3 tappe. Il primo periodo va dai 12 ai 14 anni, il secondo periodo va dai 15 ai 16 e la tarda adolescenza va dai 17 ai 19 anni. Ammanniti corregge questa suddivisione dicendo che la prima parte intorno agli 11 anni, la seconda dura fino ai 18 e sposta la tarda fino ai 23 anni. Nella prima adolescenza l'impatto è con le trasformazioni che influenzano la percezione del proprio Sé. E' anche importante vedere quanto i genitori sono pronti ad accettare queste trasformazioni, a fare i conti con il figlio che cambia e si pone in discussione con le loro attese e aspettative entrando così in conflitto con loro. E' evidente come la situazione culturale abbia influenzato il mondo adolescenziale ed è cambiata anche la patologia adolescenziale infatti dai disturbi nevrotici si è passati ai disturbi della regolamentazione del Sé (tossicodipendenze e disturbi alimentari). In relazione alle modalità che i genitori hanno attuato per seguire i cambiamenti del figlio si possono avere altri problemi, come le crisi di identità, l'alternanza dei comportamenti ecc. Nella media adolescenza si propone il problema del distacco dai genitori e le prime esigenze sessuali. La difficoltà da parte dei genitori a comprendere i bisogni del figlio li porta ad essere intrusivi e ansiosi. Spesso i genitori hanno effettivi problemi ad accettare la morte simbolica del loro bambino creando grossi problemi al ragazzo ma altrettanto gravi problemi ai genitori stessi. In particolare le modalità con cui loro stessi hanno vissuto la loro adolescenza, saranno fondamentali per mettere loro l'elaborazione del lutto. La terza adolescenza è caratterizzata da una serie di tappe di passaggio come l'esame di maturità, la patente, il servizio militare. In questo periodo fondamentali sono le sperimentazioni con l'altro sesso e c'è un bisogno di indipendenza sempre maggiore.
Posso concludere quindi dicendo che la sindrome di Peter Pan può essere compresa soltanto all'interno di un quadro maggiormente strutturato che comprenda lo sviluppo di un periodo così difficile come quello dell'adolescenza.

Dott. Fantechi: Ora vedremo un contributo video fatto da Salvatore Vitiello , Lorenzo Ballini e Nomeda Carbone caratterizzato da spezzoni di film anche molto diversi che però potessero richiamare l'immagine di Peter Pan

Autori: Ci sono scene molto in contrasto tra loro che vogliono da una parte evidenziare adulti che si rifiutano di crescere e dall'altra adulti che pur riuscendo ad avere un buon rapporto con il loro bambino interno si assumono comunque le loro responsabilità. La scelta degli spezzoni segue una serie di temi tra cui uno dei più evidenti è senza dubbio quello relativo al fare il padre e alle difficoltà di questo compito, molto evidente ne "II sorpasso", ma non solo l'uomo come padre, ma anche Fuorno come partner, comunque un uomo che cerca di sfuggire alle sue responsabilità come invece si vede in "Volere volare".

Dott. Candreva: Da questa giornata sembra emersa un'interessante visione di questo Peter Pan che si dice sempre che non vuole crescere, in realtà a me sembra che le cose non stiano proprio così. Un luogo comune della favola di Peter Pan è l'idea di una onnipotenza: non crescerò, resterò sempre così e per di più volo. Peter Pan non stravince in realtà su tutta la storia ma i suoi poteri si incontrano con il mondo reale e il suo limite è evidente nel fatto che si scontra con Wendy e quindi è costretto a una serie di compromessi per cercare comunque una qualche forma di rapporto con lei, e i compromessi li deve fare anche con campanellino e quindi con il mondo dell'isola che non c'è. Il nemico di Peter Pan è capitano uncino, figura di fantasia che fa parte dell'isola che non c'è, ma nemmeno di lui si può dire che è onnipotente e questo è evidente nel coccodrillo tanto che vivere da pirata è un po' come vivere da coccodrillo, ci sono moltissime analogie. Capitano uncino porta il segno, direbbero gli psicoanalisti, della castrazione operata proprio dal coccodrillo. Ma allora se Peter Pan non è così onnipotente. Il padre come è evidente nella favola di Spielberg è un uomo d'affari super impegnato e se dipendesse da lui non si ricorderebbe né della storia di Peter Pan, né dell'isola che non c'è, quindi il vero tentativo di onnipotenza è quello del padre.

Dott. Fantechi: A questo punto vi presento il Dott. Raspollini, diacono di Casignano, scrittore di fiabe e presidente dell'arca di San Zanobi che è un'associazione di volontariato con cui inizieremo una proficua collaborazione.

Dott. Raspollini: L'arca è un'associazione di volontariato che si occupa in prevalenza di persone che sperimentano un disagio. L'associazione ha a disposizione un dormitorio che può ospitare 25 persone tra cui ora c'è un anziano che è stato abbandonato dalla famiglia, poi abbiamo un ufficio medico, un ufficio lavoro, un'agenzia che si occupa della compravendita di case e un ufficio legale molto importante soprattutto nel campo dell'immigrazione perché quando si leggono le statistiche che dicono che nel carcere di Sollicciano più del 60% dei detenuti sono extracomunitari quasi tutti omettono di dire che gli immigrati sono gli unici che non usufruiscono dei benefici della legge perché non hanno una fissa dimora. Quindi noi facciamo la difesa legale gratuita di queste persone. Con "Progetto Cucciolo" è prevista una collaborazione definita ''Cuccioli sull'arca" anche perché non dimentichiamo che l'arca ha salvato anche i cuccioli del genere umano.

Dott. Fantechi: II nostro Dott. Raspollini è però come vi ho detto anche uno scrittore e per questo gli ho chiesto molto gentilmente di scrivere una favola sul tema di oggi.

Dott. Raspollini: "Peter Pan all'università"
Ormai la frittata era fatta, niente, almeno in apparenza, poteva cambiare il suo destino, nei guai c'era e ci sarebbe rimasto!
Quella improvvisata prigione lo lasciava alquanto stupito. Se avesse anche lontanamente immaginato quanto sarebbe accaduto, certamente avrebbe ascoltato il consiglio di Trilli. Ma chi poteva immaginare che da una semplice, ingenua, candida, innocua domanda sarebbe scaturito tutto quel caos? In fondo cosa c'era di male, a voler sapere dove si trovava l'isola Kenoncè? Quale arcano meccanismo si era messo in moto con quella domanda? Ancora una volta il suo animo semplice non vedeva ciò che di complesso era insito in una domanda. Gli tornava alla mente il momento in cui prima della partenza, aveva cercato di risolvere da solo quel mistero. Con quanta foga e quanta fretta aveva preso il dizionario perché venisse in aiuto del suo silenzio. "Si resterebbe meravigliati nello scoprire quante cose il vento custodisce e porta con sé nel suo girovagare sulla terra".
Una volta, con un bimbo sperduto, era giunto sull'isola, anche un dizionario, un po' usato, non tanto nuovo, ma semplicemente inutile fino a quel momento. Forse sarebbe stato meglio seguire il primo impulso, quello di buttare via il dizionario e riprendere il gioco, ma non si poteva certo lasciar cadere una domanda così precisa, soprattutto quando gli altri si aspettano che tu sappia la risposta.
Neppure si poteva limitarsi a dire come al solito: "Seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino!" Troppo facile, se uno vuoi sapere deve essere soddisfatta la sua curiosità.
Domande e ancora domande, come se lui fosse stato la maestra della scuola a cui non era mai andato, capace di risolvere ogni enigma. Lui era soltanto un bambino! Sembra facile dare una risposta soprattutto agli amici. Ma non era così! Chiedere era più semplice, a volte, ma rispondere,
dare spiegazioni Gli sembrava di essere una lumaca che partecipava ad una gara di velocità.
"Dai Peter!" "Forza Peter!"
Era tutto un gridare, un incoraggiare e quel sorrisetto ironico sulle labbra di Trilli...Ecco allora la genialità, era necessario recarsi all'Università, lì avrebbe certamente avuto una risposta, la lampadina si era accesa e lui aveva ancora una volta vinto la partita. Lì avrebbero risposto in maniera esauriente ad ogni quesito.
"Quando una decisione è presa è presa!", Senza indugi e senza ascoltare i consigli di Trilli che diceva l'Università era un luogo stregato dove entravano i bambini ed uscivano i cervelli, entrava la voglia di giocare, la curiosità della scoperta ed usciva la carriera. Si confezionavano speranze con la carta dei sogni, ma si perdeva la spensieratezza; si entrava volando e ti ancoravano alla realtà con le convenzioni. Volevi dissetarti alla fonte del sapere ma spesso ti abbeveravano alla bottiglia delle nozioni. Entravi con l'abito verde del gioco, imbrattato di terra, le mani coperte di fango e la bocca orlata di cioccolato ed uscivi con la divisa da impiegato e la cravatta che come giogo limitava lo sguardo all'orizzonte del reale senza coglierne il mistero.
Certamente Trilli esagerava sempre nelle sue considerazioni, un certo sapere preso a piccole dosi come la medicina per la tosse, non poteva far male, e poi lui aveva i mezzi per difendersi, avrebbe saputo opporre la fantasia, il sogno l'ilarità e la capacità di stupirsi alle convenzioni. Povera Trilli se avesse immaginato...Ora sarebbe lì, al suo fianco pronta ad affrontare questo nuovo Capitano Uncino, che con Spugna e la sua ciurma di pirati cercava di tenerlo prigioniero. Peter scosse la testa, si guardò l'abito verde, quello di tutti i giorni, ma non gli sembrò più ridicolo del solito. Neppure comprendeva tutta l'ilarità suscitata quando si era presentato davanti al dottore standosene ritto a mezz'aria e con tutta la sua curiosità che lo sguardo era capace di esprimere, aveva chiesto: "Dove si trova l'isola Kenoncè, illustrissimo?". Poi quando tutti ridevano di lui. Con rabbia aveva lasciato la sala infilando la prima porta aperta che aveva trovato; come ritenerlo responsabile di essersi infilato in bagno. Un sorriso largo quanto un battito di cuore gli comparve sul volto, mentre a stento tratteneva le lacrime . Che fuggi fuggi e via vai di gente! Urla e strilla; sbraiti e sbacchiate di porte. Si mise una mano alla bocca. Allora era iniziato un caos indescrivibile, tutti a volerlo prendere. E quando t'inseguono, non ci sono regole, scappi e basta. Non ti volti indietro e corri. Poi quell'omaccione con tutti gli alambicchi, le provette, i fornelli a gas accesi e le serpentine piene di liquidi dai mille colori. Perché poi si era messo nel mezzo della sala con le braccia e le gambe aperte, gridando in quel modo, quasi avesse a che fare con un delinquente, questo doveva capirlo.
Aveva ancora davanti agli occhi la capriola che gli consentì di passare sotto le sue gambe, facendolo finire nel bel mezzo di tutte quelle bottigliette colorate. Ma si può fermare il vento quando Peter corre all'impazzata? Quanta esagerazione nello strapparsi i capelli e nel rincorrerlo con la provetta in mano gridando i più strani epiteti, alcuni dei quali gli erano veramente sconosciuti senz'altro gli sarebbero tornati utili nelle gare con i bambini sperduti. Mancava veramente lo spiritoso gioco laggiù.
Misurò a lunghi passi tutta la stanza. Le finestre erano chiuse con le inferiate e lui non sarebbe passato. Doveva pazientare e aspettare il verdetto. Se non fosse stato per quel suo fermarsi e sentirsi al sicuro una volta entrato in quell'aula del piano terra davanti al professore di matematica per ripetere la domanda che gli stava a cuore, chissà se l'avrebbero preso. O almeno l'inseguimento sarebbe stato più lungo. Che cosa avrebbe mai fatto se davanti alla domanda su dove fosse l'isola Kenoncè si fosse sentito rispondere che se non c'era non esisteva! E lui allora da dove veniva?
"Dall'inferno!" aveva risposto l'altro senza esitazione allungando la mano per prenderlo. Ma gli era andata buca, e lui di rimando aveva tratto di tasca la torta portata per provvista e l'aveva lanciata con forza nella sua direzione. Era stato proprio un bel lancio, a colombella, superando la sagoma nera della cattedra per finirgli proprio in faccia, su quella faccia sbigottita e meravigliata, quasi incredula che una cosa simile sarebbe potuta accadere proprio a lui.
Peccato per la torta di more e lamponi era la sua preferita. Ma il suo negare l'esistenza dell'isola lo aveva proprio sconvolto. A dire il vero ciò che lo meravigliava e turbandolo l'incuriosiva era la fretta a voler negare, a voler nascondere la sua esistenza soprattutto davanti all'evidenza dei fatti.
"Peter Pan non esiste, è una favola, un'invenzione!" gli aveva detto
"Ed io!" aveva gridato Peter.
Ma il professore aveva ripreso dicendo che l'isola Kenoncè era il parto fantasioso di uno scrittore per bambini che si rifiutava di crescere, per cui si era rifugiato nell'inesistente per fuggire la realtà. Questo aveva avuto il coraggio di dire quel dottorone, ma la torta era reale, come la sua faccia rossa, bollente di rabbia. Ma ora cosa sarebbe accaduto? Quale triste sorte l'aspettava? In che cosa consisteva la condanna?
Domande che giravano nella testa di Peter. Quasi fossero zanzare impertinenti scacciò con un gesto della mano quelle preoccupazioni mettendosi spensierato ad inseguire il sole nascente della sua isola.
"Meglio non porsi troppo domande, -si disse- presto avrebbe saputo la risposta".
Si accovacciò per terra appoggiando la schiena al mobile in noce massello addossato alla parete. Si guardò intorno, cogliendo nel suo animo un senso di inquietudine, ma non di paura. Sapeva di polvere quel posto e, nonostante fosse lindo e pulito, tutto sembrava vecchio e stantio, pareva quasi di essere nella stiva del vascello di Capitano Uncino. Si immaginò le onde e la risacca, udì il rumore cigolante del legno e sentì la brezza leggera del vento che gli spettinava il ciuffo dei capelli sulla fronte. Chiuse gli occhi quasi a voler assaporare più profondamente, fino in fondo quel momento. Si addormentò e lentamente quasi a fatica, come se il pensiero provenisse da un luogo lontano e sconosciuto, aprì gli occhi. Il suo animo era turbato. Che strano sogno, sentiva ancora nel suo cuore la stretta della solitudine del rimpianto e il peso dell'età.
Che bello ritornare....L'idea sfiorò per un attimo la mente, quasi fosse un cavallo che saltava la staccionata si trovasse libero nella prateria. Ma non era così!
Si alzò prontamente, l'impegno di quella mattina era importante, più importante di tutto. Mentre si faceva la barba osservò le tempie grigie e le rughe che già gli segnavano il suo volto, disegnandovi il passare delle stagioni, ma quel pensiero insistente fece capolino, proprio mentre si dava il dopobarba, con quel gesto caratteristico, che gli aveva insegnato il padre alla sua prima barba. La prima barba...
Poi come un lampo vide la torta e la faccia del professor Tirelli, fu solo per un attimo, come un fulmine, una visone di breve durata. Istintivamente si guardò le gambe, i pantaloni grigi, e sottolineo grigi, piombavano perfettamente. Finì di vestirsi e si avviò verso l'uscita dalla stanza, ora sapeva cosa dire all'inaugurazione di quel nuovo anno accademico, posò la cartella del discorso scritto la sera prima sulla scrivania dello studio e si avviò verso l'aula. S'infilò la mano in tasca sentendosi rassicurato dal leggero fruscio della carta di plastica che avvolgeva la caramella di lamponi che teneva per provvista; poi con un sorriso largo come un battito di cuore, il Magnifico Rettore entrò nell'Aula Magna.

Dott. Fantechi: Ringrazio il dott. Raspollini per il bellissimo contributo. Vorrei concludere questa giornata leggendo una lettera che una ragazza tutor di Progetto Cucciolo ha voluto dedicare a una ragazzina adolescente di 15 anni con la quale sta facendo un certo tipo di lavoro.
"Sono solo due mesi che ci conosciamo: sembra poco ma in questi due mesi sono accadute molte cose che ci hanno coinvolte entrambe facendoci superare quello stato iniziale di estraneità in cui eravamo quando ci siamo incontrate la prima volta. Giorno dopo giorno sorrisi, "schitarrate", parole, passeggiate si sono succeduti e uniti a costituire la nostra amicizia. Adesso scambi di affetto, fiducia, collaborazione colorano il nostro rapporto: prima non saresti mai arrivata a chiedermi di accompagnarti a cercare lavoro, non mi avresti domandato di venire in discoteca con te, non mi avresti mai rivelato che fai uso di acidi. Allo stesso modo io difficilmente avrei esternato i miei sentimenti, le mie azioni, i miei pensieri, le mie idee. Nel nostro cammino ci sono stati momenti di ascesa molto intensi e momenti di discesa, di crisi, in cui tu mancavi agli appuntamenti oppure ti dimostravi sfuggente forse perché, come tu stessa mi hai detto, eri troppo interessata a stordirti in discoteca o altrove con acidi, alcool, canne, per poi sentirti completamente svuotata e disorientata. In alcuni momenti io credevo che la Carlotta che amo di più, cioè quella ragazza semplice e sensibile fosse scomparsa e disciolta tra sorrisi, discoteca e qualche pasticca. Ho sempre tenuto queste cose per me, soffrendo da sola, con la speranza che si aggiustassero, che si appiattissero con il tempo; ma visti gli scarsi risultati e dato che sono sempre stata sincera con te, ho deciso di portare alla luce ciò che mi fa dispiacere per evitare che tutto continui su questa strada, con la speranza che possa cambiare qualcosa.
Spesso nella vita perdiamo la "bussola" e rischiamo di non renderci più conto di quello che siamo chiamati a fare. Molti come non sanno di preciso da dove venga questa chiamata, ma ugualmente la sentono e ne seguono il suono quasi impercettibile tra i mille rumori che ci circondano. Anch'io spesso non riesco a sentire questo suono perché è coperto dagli altri rumori sia perché non posso e non voglio seguirlo sapendo che costa fatica e che sarebbe più semplice vivere così come viene ogni giorno. Ma poi è lui a ritrovare me, a farsi prepotente, a scuotermi e dirmi che non sono nata per vivere così come capita e non posso far finta che sia diverso.
E' importante non essere indifferenti, non perdersi nel grigio della massa, non chiudersi nella propria stanza né fermarsi a guardare la vita che pulsa senza impossessarsi del nostro avvenire. Occorre osare, darsi un progetto, osare vivere emozioni ed entusiasmi, osare, non soffocare i propri desideri ma rischiare ed esporli. Bisogna non farsi distruggere dalla delusione di un desiderio quando capita ma continuare la ricerca e pensarci ognuno protagonista della storia e del futuro. Non voglio che tu ti confonda con le facce pallide, spaventate o inespressive, prive di entusiasmo e di vitalità che ci sono in giro. Vorrei che tu rifiutassi la passività perché puoi e devi pretendere di più e di meglio da te stessa e dagli altri: quello che in fondo tutti cerchiamo è la realizzazione della bellezza. Molte persone hanno bisogno di sentire che intorno a loro c'è una realtà più ampia e ricca di amore; perciò si spingono a cercare avventure, emozioni, drammi nel mondo materiale, nei soldi, nelle droghe senza guardarsi dentro e trovare in loro stessi la porta di quel mondo più vasto. Su un libro ho letto che incasellare la nostra vita nelle categorie del magico e del normale riduce la nostra energia creativa e ci fa perdere di vista la bellezza che c'è già intorno a noi. Considerare gli aspetti quotidiani della vita troppo ordinari negando quanto di meraviglioso c'è in essi e credere che i momenti speciali siano accessibili solo con la trasgressione, può far diventare l'ordinario troppo grigio e monotono e lo straordinario troppo eccezionale, raggiungibile solo in qualche raro momento. Così la nostra vita quotidiana si trasformerebbe in una lotta fra la fatica a tollerare l'ordinario e l'aspirazione allo speciale senza mai giungere a uno stato di tranquillità interiore. di serenità. Certo le delusioni e gli ostacoli sono sempre tanti ma non fare l'errore di diventare schiava della tua esistenza solo perché facile e senza problemi. Tu hai tantissime potenzialità a partire dalla musica per arrivare al disegno, alla creatività, alla sensibilità e devi svilupparle perché ognuno deve fare i conti con il proprio carattere e con la vita che ha scelto per un progetto più grande e faticoso. C'è una frase di Landford Wilson che ogni volta in cui la leggo mi restituisce energia e vitalità. Spero che anche in te porti la convinzione che per mezzo dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni anche noi contribuiamo a formare la nostra realtà rendendola nuova e magica. La frase è questa: "Dopo che ebbero esplorato tutti i soli, compresero che non c'era altra vita nell'universo e che non c'era nessun altro. E ne furono assai rallegrati, poiché ora sapevano che stava a loro diventare tutte le cose che si erano immaginati di trovare".

Dott. Fantechi: Anche questa giornata è finita, ringrazio tutti coloro che hanno partecipato e vi aspetto tutti ai prossimi appuntamenti di "Progetto Cucciolo".

Gli atti sono stati trascritti a cura di
Biotti Sabrina, Carrozza Alessandra